Chakde! India

Forza India. E’ il titolo del film che abbiamo visto il giorno della partenza. Spettacolo del pomeriggio, Colaba Causeway, cinema pieno. I trailer – si vede anche una scena girata sul lago di Como, finalmente l’ossessione per la Svizzera, dove di solito vanno in vacanza nei film di Bollywood, sarà un pò ridimensionata e ci immaginiamo già fra qualche anno "ah, Itàli, bello, si vede nei film!". Poi, tra un trailer e una pubblicità, sventola una bandiera indiana e attacca l’inno nazionale. Tutti in piedi, anche se qualcuno continua a chiacchierare al cellulare (che, nonostante l’avviso, continueranno a suonare per tutto il film!).
Siamo un pò spiazziati… Anche l’inizio del film (http://www.yashrajfilms.com/microsites/cdi/cdi.html) ha una vena nazionalistica nenache troppo dissimulata: una partita di hockey India-Pakistan, finale dei campionati del mondo vinta dal Pakistan. Ma per fortuna il nazionalismo del film si gioca poi su un altro piano: come la locandina del film sui giornali il giorno dell’indipendenza, il messaggio è "solo quando le donne – perchè parla di una squadra di hockey femminile- avranno raggiunto un’autonomia l’India sarà davvero un paese indipendente".
Insomma, è l’occasione per molte riflessioni. Il nazionalismo prima di tutto: sembra un sentimento comune a molti paesi emergenti, ed è anche comprensibile. D’altronde forse l’Italia del boom non era tanto diversa. Ma a volte in India questo nazionalismo è vera e propria violenza, che scatena altre violenze. Il disorientamento e la delusione per il Nord del paese è nato proprio da questo: la scoperta dell’India come un paese violento. I pellegrini shivaiti che correvano in file militaresche uralndo slogan sono gli stessi che hanno scatenato disordini a Risikesh e haridwar. Ad Agra, il giorno prima della nostra partenza, un camion travolge quattro ragazzi musulmani di ritorno da una cerimonia di preghiera notturna: si scatena una sommossa, interviene l’esercito, un morto e una cnquantina di feriti, i turisti chiusi negli hotel, il governo che consiglia agli turisti di rinunciare alla visita al taj mahal… Due giorni prima, di fronte alle telecamere, un poliziotto non interviene, e il suo collega invece aiuta il pestaggio di un poveraccio che aveva cercato di ribare chissà che: non contenti di averlo massacrato, lo legano a una moto e lo trascinano per un pò. e L’attentato a Hyderabad, che è la seconda Bangalore per l’industria informatica, e città con una maggioranza musulmana.
Insomma, che l’India fosse ben lontana dallo stereotipo occidentale (e un pò fricchettone) di patria della spiritualità lo avevamo già constatato l’anno scorso. Ma l’amaro che ci lascia quest’anno viene dal clima saturo di violenza che si respira in Uttaranchal e in Uttar Pradesh (anche in Bihar si dice, ma non ci siamo stati, quindi ci limitiamo a ciò che abbiamo visto). E più volte nel viaggio abbiamo pensato: "forse era meglio non tornare e tenerci i ricordi dello scorso anno"…
Eppure, camminando a Bombay, inaspettata, rinasce la simpatia per la città, per gli indiani che fischiano durante il film, che vogliono a tutti costi una foto con i faranji bianchi, per i colori e i sapori di quella terra, per quel modo di assimilare e trasformare indianizzandolo tutto ciò che viene da fuori, e per la capacità di mescolare nel concetto stesso di "indiano" tradizioni culturali diverse. Il nord sembra dire che quel mondo sta scomparendo. E alla fine ripartiamo con un pò di tristezza e con la speranza che quel fragile equilibrio riesca a sopravvivere in qualche modo.
L’India o la si ama o la si odia. L’anno scorso abbiamo provato amore. Quest’anno mi viene da dire: "ma amiamo l’India o un’idea dell’India?"

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